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Implicazioni sia per i genitori che per i bambini
Dopo aver concepito un figlio mediante un trattamento di riproduzione assistita, ai genitori può sorgere questo dubbio: “Devo dire a mio figlio che è nato grazie alla riproduzione assistita? Che effetto avrà? A che età e come devo dirglielo?”
Ricorda prima di tutto che non è obbligatorio rivelare l’origine del concepimento del figlio, e saranno quindi i genitori a decidere se raccontarlo o meno.
Se decidono di non raccontarlo, gli esperti consigliano di prestare particolare attenzione alla comunicazione con altri membri della famiglia, per evitare che il bambino venga a conoscenza del suo concepimento da una persona che non siano i genitori.
Con le parole dello psicologo francese Serge Tisseron, autore del libro Il mistero dei semi del bebè, “se il bambino viene a sapere da un’altra persona di non essere stato concepito in modo naturale, corre il rischio di perdere fiducia nei suoi genitori.”
Se, al contrario, mamma e papà decidono di rivelare ai propri figli i dettagli sul loro concepimento, esistono vari fattori da tenere in considerazione: come e in che momento farlo? Quali reazioni potrebbe provocare nel bambino il conoscere la verità sulle proprie origini?
Ci sono vari studi che analizzano questi aspetti. Vediamo insieme in che modo possono offrire delle risposte.
Quando raccontarlo ai figli?
Secondo gli esperti ci sono due momenti chiave in cui il bambino è più ricettivo per comprendere le proprie origini.
Il primo è tra i 3 e i 5 anni, quando inizia a chiedersi come sia venuto al mondo. Alcuni genitori ritengono che questo sia il momento più adeguato, perché il bambino riesce ad assimilare la sua storia in modo più semplice. È la cosiddetta “semina”: se il bambino conosce e capisce le proprie origini da piccolo, ha la sensazione di saperlo “da sempre” e per questo motivo non lo chiederà in futuro.
Il secondo momento chiave è tra i 10 e i 12 anni, quando il bambino riceve la prima educazione sessuale a scuola e capisce come avviene la gravidanza. È in quel momento che si può spiegare perché non era possibile concepirlo in modo naturale, ma la conversazione dovrà avvenire necessariamente in modo più adulto. Secondo gli studi, è la strategia del “momento adeguato”, perché sfrutta il momento in cui il bambino apprende tematiche associate alla vita, alle relazioni sessuali e al concepimento.
Gli studi sottolineano invece l’importanza di non attendere l’arrivo dell’adolescenza, a partire dai 13 anni, poiché si tratta di un’età in cui inizia il processo di sviluppo della personalità e comunicare questa informazione in questo momento potrebbe avere un impatto negativo.
Quali storie possono aiutare a raccontarlo?
Per i bambini più piccoli, le favole o i racconti rappresentano la risorsa più adeguata a raccontare la complessa storia delle sue origini.
Nelle parole di Tisseron, “quanto più è difficile affrontare un tema, tanto più importante è trattarlo letteralmente. Le fiabe e i racconti introducono l’argomento con il ritmo adeguato per il bambino, in modo che i genitori possano spiegarlo senza dover raccontare la propria storia personale.”
In ogni caso, esistono molti modi per parlare di PMA a un bimbo, e basta che ogni genitore individui quello più opportuno in base al suo modo di essere e al carattere e alle necessità del proprio figlio.
“Alcune delle nostre pazienti utilizzano i loro hobby per raccontarlo ai figli,” afferma Laura Venereo, psicologa di Eugin. “Ad esempio, chi ama la fotografia usa questo mezzo per spiegarlo. Ad altri riesce bene la scrittura, e scrivono un diario che, in un particolare momento, servirà loro per spiegare al figlio come sia stato concepito.”
Implicazioni per i genitori
Decidere di raccontare o meno ai figli di essere stati concepiti con un trattamento di procreazione assistita è una decisione molto importante per i genitori. Più si sentiranno sicuri e più ne avranno parlato preventivamente con il proprio partner o con psicologi, più risulterà facile comunicarlo al bambino.
“Ogni famiglia è diversa, come lo è ogni bambino,” spiega la psicologa. “La decisone di come informare il bambino potrà basarsi sulla curiosità dimostrata dal piccolo per le domande che desidera formulare, senza fornire troppe informazioni, dandogli così l’opportunità di costruirsi la propria storia.”
Bibliografia
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S. Paul, Marilyn, Berger, Roni. Topic avoidance and family functioning in families conceived with donor insemination. Human Reproduction, 2007.
Turner, A.J., Coyle, A. What does it mean to be a donor offspring? The identity experiences of adults conceived by donor insemination and the implications for counselling and therapy, 2000.